Wojtyla, il Papa che ha fallito
Predica
il dialogo ma ha isolato la Chiesa. Le sue idee di fede e di morale
hanno cancellato il Concilio Vaticano II
La situazione della Chiesa Cattolica è seria. Il Papa è gravemente
malato e merita ogni compassione. Ma la Chiesa deve vivere. Per questo,
nella prospettiva di un’elezione papale, ha bisogno di una diagnosi,
di una sincera analisi svolta dal suo interno. Delle terapie si potrà
discutere dopo.
Gli oltre venticinque anni di Pontificato di Karol Wojtyla sono stati
una conferma delle critiche che già avevo espresso dopo un anno del suo
Pontificato. Secondo la mia opinione, egli non è il Papa più grande ma
il più contraddittorio del XX secolo. Un Papa dalle molte, grandi doti,
e dalle molte decisioni sbagliate! La sua «politica estera» ha preteso
da tutto il mondo conversione, riforma, dialogo. Però, in tutta
contraddizione, la sua «politica interna» ha puntato alla
restaurazione dello status quo ante Concilium, a impedire le riforme, al
rifiuto del dialogo intra- ecclesiastico e al dominio assoluto di Roma.
Questa contraddizione si evidenzia in undici ambiti problematici.
Riconoscendo gli aspetti positivi di questo Pontificato, mi concentrerò
quindi sui suoi aspetti critici e contraddittori.
Prima contraddizione.
Giovanni Paolo II predica i diritti degli uomini all’esterno ma li ha
negati all’interno, cioè ai vescovi, ai teologi e soprattutto alle
donne.
Il Vaticano, un tempo nemico convinto dei diritti dell’uomo ma ben
disposto oggi a immischiarsi nella politica europea, continua a non
poter sottoscrivere la Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo del
Consiglio d’Europa: troppi canoni del diritto ecclesiastico romano,
assolutistico e medioevale, dovrebbero prima essere modificati. La
separazione dei poteri, principio fondamentale del diritto moderno, è
sconosciuta alla Chiesa Cattolica romana, nel cui comportamento non vi
è nessuna lealtà: nei casi di disputa l’autorità vaticana funge nel
contempo da legislatore, accusa e giudice.
Seconda contraddizione.
Grande ammiratore di Maria, il Wojtyla predica gli ideali femminili,
vietando però alle donne la pillola e negando loro l’ordinazione.
Per molte donne cattoliche tradizionali (soprattutto le donne
appartenenti a ordini religiosi), l’aspetto più apprezzato di questo
Papa è il suo respingere le donne moderne, in quanto le ha escluse da
tutte le consacrazioni più importanti e considera la contraccezione
appartenente alla «cultura della morte ». Tuttavia, molte delle donne
che partecipano alle manifestazioni di massa del Papa, rifiutano la
dottrina papale che si oppone ai metodi contraccettivi.
Terza contraddizione.
Questo Pontefice predica contro la povertà di massa e l’indigenza nel
mondo ma, al tempo stesso, con la sua posizione in merito al controllo
delle nascite e all’esplosione demografica, si è reso colpevole di
questa indigenza.
In occasione dei suoi numerosi viaggi e anche di fronte alla Conferenza
delle Nazioni Unite su Popolazione e Sviluppo tenutasi al Cairo nel
1994, questo Papa ha preso posizione contro l’uso della pillola e del
profilattico e, pertanto, potrebbe essere ritenuto responsabile più di
qualsiasi uomo di Stato della crescita demografica incontrollata in
alcuni Paesi e del dilagare dell’Aids in Africa.
Quarta contraddizione.
Karol Wojtyla propaganda una figura sacerdotale maschile caratterizzata
dal celibato ed è, quindi, il principale responsabile della
catastrofica carenza di sacerdoti, del collasso dell’assistenza
spirituale in molti Paesi e dello scandalo della pedofilia nel clero,
ormai venuto alla luce.
Agli uomini che si sono dichiarati pronti al servizio sacerdotale nelle
comunità viene proibito il matrimonio. Questo è solo un esempio di
come anche questo Papa abbia ignorato la dottrina della Bibbia e la
grande tradizione cattolica del primo Millennio in cui non vi era alcuna
legge sul celibato per i sacerdoti. I quadri si sono ridotti, il
reclutamento è fermo e fra poco, non solo nell’area di lingua
tedesca, quasi due terzi delle parrocchie rimarranno senza sacerdote e
la stessa celebrazione domenicale dell’eucarestia non potrà più
essere assicurata, nemmeno con l’importazione di parroci e il
raggruppamento delle parrocchie in «unità spirituali». Il clero
fedele al celibato è dunque in crescente pericolo di estinzione. Gli
scandali della pedofilia verificatisi dagli Stati Uniti all’Austria
hanno inoltre gravemente danneggiato la sua credibilità, portando
sull’orlo della bancarotta grandi diocesi negli Stati Uniti.
Quinta contraddizione.
Il Papa polacco ha praticato un numero elavatissimo di canonizzazioni,
ma al tempo stesso ha ignorato l’inquisizione attuata nei confronti di
teologi, sacerdoti e membri di ordini malvisti dalla Chiesa.
I devoti, strumentalizzati politicamente e commercialmente con spese
ingenti e conseguenti profitti per la Curia, sono soprattutto pie suore,
fondatori di ordini religiosi o Papi come l’antidemocratico,
antisemita, autoritario Papa Pio IX (controbilanciati dalla
canonizzazione di Giovanni XXIII). Devoti sono divenuti anche
l’imperatore asburgico Carlo I e il ben poco pio fondatore dell’Opus
Dei Josémaria Escrivá.
Uomini e donne (anche donne appartenenti a ordini religiosi) che si sono
distinti, per il loro pensiero critico e per la loro energica volontà
di riforme, sono stati invece trattati con metodi da Inquisizione. Come
Pio XII fece perseguitare i più importanti teologi del suo tempo, allo
stesso modo si comportano Giovanni Paolo II e il suo Grande Inquisitore
Ratzinger con Schillebeeckx, Balasuriya, Boff, Bulányi, Curran, Fox,
Drewermann e anche il Vescovo di Evreux Gaillot e l’Arcivescono di
Seattle Huntington. Nella vita pubblica mancano oggi intellettuali e
teologi cattolici della levatura della generazione del Concilio. Questo
è il risultato di un clima di sospetto, che circonda i pensatori
critici di questo Pontificato. I vescovi si sentono governatori romani
invece che servitori del popolo della Chiesa. E troppi teologi scrivono
in modo conformista oppure tacciono.
Sesta contraddizione.
Il Papa elogia spesso e volentieri gli ecumenici, ma al tempo stesso ha
pesantemente compromesso i rapporti con le Chiese ortodosse e con quelle
riformiste ed evita il riconoscimento dei suoi funzionari e dell’eucarestia.
Il Papa avrebbe dovuto consentire — come suggerito in molti modi dalle
commissioni di studio ecumeniche e come praticato direttamente da tanti
parroci — le messe e l’eucarestia nelle Chiese non cattoliche e
l’ospitalità eucaristica.Avrebbe anche dovuto ridurre l’eccessivo
potere esercitato dalla Chiesa nei confronti delle Chiese dell’Est e
delle Chiese riformiste e avrebbe dovuto rinunciare all’insediamento
dei Vescovi romano- cattolici nelle zone delle Chiese russe- ortodosse.
Avrebbe potuto, ma non ha mai voluto. Ha voluto invece mantenere e
ampliare il sistema di potere romano. La politica di potere e di
prestigio del Vaticano è stata mascherata da discorsi ecumenici
pronunciati dalla finestra di Piazza San Pietro, da gesti vuoti e da una
giovialità del Papa e dei suoi cardinali che cela in realtà il
desiderio di «sottomissione» della Chiesa dell’Est sotto il primato
romano e il «ritorno» dei protestanti alla casa paterna
romano-cattolica.
Settima contraddizione.
Come Vescovo suffraganeo e poi Arcivescovo di Cracovia, Karol Wojtyla ha
preso parte al Concilio Vaticano II. Una volta diventato Papa, ha però
disprezzato la collegialità del Pontefice con i Vescovi decretata
proprio al Concilio.
Questo Pontefice ha più volte dichiarato la sua fedeltà al Concilio,
per poi tradirlo nei fatti attraverso la sua «politica interna». I
termini conciliari come «aggiornamento, dialogo, collegialità e
apertura ecumenica» sono stati sostituiti da parole quali «restaurazione,
magistero, obbedienza, ri-romanizzazione ». Il criterio per la nomina
dei Vescovi non è affatto lo spirito del Vangelo e l’apertura mentale
pastorale, bensì la fedeltà assoluta verso la condotta romana. I
sostenitori del Papa tra i vescovi di lingua tedesca come Meisner, Dyba,
Haas, Groer e Krenn sono solo gli sbagli più eclatanti di questa
politica pastorale devastante, la quale fa pericolosamente scivolare in
basso il livello morale e intellettuale dell’episcopato. Un episcopato
reso ancor più mediocre, rigido, conservatore e servile, è forse
l’ipoteca più pesante di questo lunghissimo Pontificato.
Ottava contraddizione.
Questo Papa ha cercato il dialogo con le religioni del mondo, ma
contemporaneamente ha disprezzato le religioni non cristiane definendole
«forme deficitarie di fede».
In occasione dei suoi viaggi o «preghiere di pace», il Papa ha
radunato con piacere attorno a sé dignitari di altre chiese e
religioni. Non vi erano tuttavia molte tracce reali della sua preghiera
teologica. Anzi, il Papa si è presentato in sostanza come un «missionario
» di vecchio stampo.
Nona contraddizione.
Il Papa polacco ha assunto la funzione di rappresentante della fede in
un’Europa cristiana, ma il suo ingresso trionfale e la sua politica
reazionaria hanno involontariamente favorito l’inimicizia nei
confronti della Chiesa, se non addirittura l’avversione contro il
Cristianesimo stesso.
La campagna di evangelizzazione del Papa, il cui punto centrale è
rappresentato da una morale sessuale ben poco adeguata ai tempi, ha
discriminato soprattutto le donne: quelle che in questioni controverse,
quali la contraccezione, l’aborto, il divorzio, l’inseminazione
artificiale hanno dimostrato di avere opinioni diverse da quelle della
Chiesa, sono state definite portatrici di una «cultura della morte».
Attraverso interventi politici— come è accaduto in Germania contro il
Parlamento e l’episcopato nel caso del conflitto sul tema della
gravidanza —, la Curia romana ha dato l’impressione di rispettare
poco la separazione giuridica tra Stato e Chiesa. Il Vaticano cerca
(attraverso il gruppo parlamentare del Partito Popolare europeo) di
esercitare delle pressioni anche sul Parlamento Europeo, incentivando
l’ingaggio di osservatori particolarmente vicini alle idee di Roma per
questioni relative alla legislazione sull’aborto. Invece di farsi
ovunque fautrice di soluzioni ragionevoli che consentano la mediazione,
la Curia romana con i suoi proclami acutizza di fatto a livello mondiale
la polarizzazione tra oppositori e sostenitori dell’aborto, moralisti
e libertini.
Decima contraddizione.
Come carismatico comunicatore e «star» mediatica, questo Papa fino
alla sua veneranda età ha fatto presa in particolare sui giovani, ma si
è appoggiato soprattutto ai «nuovi movimenti» di origine italiana,
all’Opus Dei di casa in Spagna e a un pubblico acritico e fedele del
Pontefice. Tutto ciò è sintomatico del rapporto del Papa con la laicità
e della sua incapacità di dialogare con un pubblico critico.
I grandi raduni mondiali dei giovani sostenuti a livello regionale e
internazionale, sotto la sorveglianza della gerarchia dei nuovi
movimenti laici (Focolare, Comunione e Liberazione, St. Egidio,
Legionari di Cristo, Regnum Christi, etc.), hanno attirato e attirano
centinaia di migliaia di giovani. Molti di essi volonterosi, troppi del
tutto acritici. Il carisma personale di Wojtyla è quasi più importante
dei contenuti da lui trasmessi. Le domande che i giovani avevano posto
al Papa e che, in occasione del suo primo viaggio in Germania, lo
avevano messo in serio imbarazzo, in seguito non sono state più
consentite. Le associazioni cattoliche di giovani, che non si trovano
sulla linea del Vaticano, vengono disciplinate e messe alla fame
dall’ordine romano attraverso il ritiro di finanziamenti da parte dei
vescovi locali. Inoltre viene messa in discussione la fiducia un tempo
accordata all’ordine dei gesuiti: prediletti dai Papi precedenti, ora
vengono percepiti come sabbia negli ingranaggi della politica di
restaurazione del Papa a causa delle loro qualità intellettuali, dei
loro teologi critici e delle opzioni teologiche di liberazione. Invece
Karol Wojtyla, già ai tempi in cui era ancora arcivescovo di Cracovia,
concesse la piena fiducia all’associazione segreta Opus Dei, potente
sia dal punto di vista finanziario che in termini di influenze, ma
antidemocratica e in passato compromessa con regimi fascisti.
Undicesima contraddizione.
Giovanni Paolo II ha offerto nel 2000 una pubblica confessione dei
peccati per gli errori della Chiesa nel passato, senza però trarne
alcuna conseguenza pratica.
La confessione dei peccati ampollosa e barocca inscenata a San Pietro
per gli errori della Chiesa è rimasta vaga e ambigua. Il Papa ha
chiesto perdono solo per gli errori dei «figli e delle figlie della
Chiesa» ma non per quelle del «Santo Padre», per quelle della Chiesa
stessa e dei gerarchi presenti. Il Papa non ha mai preso posizione in
merito agli intrighi delle varie sedi della Curia in affari mafiosi e ha
contribuito più all’occultamento che alla rivelazione di scandali e
crimini (Banca Vaticana, il «suicidio» di Guido Calvi, l’omicidio
avvenuto nell’ambiente del corpo delle guardie svizzere...). Anche con
la rivelazione degli scandali della pedofilia dei clericali, il Vaticano
è stato straordinariamente titubante. Nonostante alcune richieste, il
Papa non ha mai dato udienza ad alcuna vittima. Anzi, ha riempito di
elogi un insigne criminale nel corso di una fastosa cerimonia al
Vaticano: il messicano Marcial Maciel Degollado, fondatore dei Legionari
di Cristo (500 sacerdoti e 2.000 seminaristi) e del movimento laico
Regnum Christi, diventato ormai concorrente ancora più conservatore
dell’Opus Dei.
Conclusioni.
Per la Chiesa cattolica questo Pontificato si rivela, nonostante i suoi
aspetti positivi, una grande speranza delusa, in fin dei conti un
disastro, perché Karol Wojtyla, con le sue contraddizioni, ha
profondamente polarizzato la Chiesa, allontanando i suoi innumerevoli
uomini e gettandoli in una crisi epocale.
Contro tutte le intenzioni del Concilio Vaticano II, il sistema romano
medioevale — un apparato di potere caratterizzato da tratti totalitari
— è stato restaurato grazie a una politica personale e dottrinale
tanto astuta quanto spietata: i vescovi sono stati uniformati, i padri
spirituali sovraccaricati, i teologi dotati di museruola, i laici
privati dei diritti, le donne discriminate, le iniziative popolari dei
sinodi nazionali e delle chiese ignorati. E poi ancora scandali
sessuali, divieti di discussione, dominio liturgico, divieto di predica
per i teologi laici, esortazione alla denuncia, impedimento dell’eucarestia.
Di tutto questo è forse colpevole «il mondo»?
La grande credibilità della Chiesa Cattolica, cioè quella ottenuta da
Giovanni XXIII e dal Concilio Vaticano II, ha lasciato il posto a una
vera e propria crisi della speranza. Questo è il risultato della
profonda tragicità personale di questo Papa: la sua idea cattolica di
stampo polacco (medioevale, controriformista e antimoderna), in qualità
di Pontefice Karol Wojtyla l’ha voluta portare anche nel resto del
mondo cattolico. Si è però verificato il contrario di ciò che egli
sperava: la Polonia stessa è stata travolta dal moderno sviluppo
secolare e, dopo la sostituzione dell’alleanza elettorale in carica
fino al 2001, Solidarnosch, si appoggia sempre meno alle idee di fede e
di morale promosse dal Pontefice.
Quando verrà il momento, il nuovo Papa dovrà decidere di affrontare un
cambio di rotta e dare alla Chiesa il coraggio di nuove spaccature,
recuperando lo spirito di Giovanni XXIII e l’impulso riformistico del
Concilio Vaticano II. «Videant consules», i consoli vogliano fare in
modo che la Repubblica non subisca danni, si diceva nell’antica Roma.
«Videant cardinales», i cardinali vogliano fare in modo—si dovrebbe
dire nella Roma di oggi—che la Chiesa non subisca danni. (Traduzione
del Gruppo Logos)
Hans Küng - teologo cattolico dissidente
Il Padre che ha salvato la Chiesa
Lo
confesso: se non fossi stato sollecitato a farlo, forse non avrei
replicato all’intervento di Hans Kueng di ieri, approvato
dall’autore, ma pubblicato in una versione “accorciata“.
L’originale, in effetti, è ancor più torrenziale. In origine si
trattava, mi dicono, di un necrologio, di un bilancio dell’intero
pontificato, da pubblicare dopo la morte di Giovanni Paolo II e giacente
negli archivi dei giornali. Probabilmente , il teologo
svizzero-tedesco si è stancato di aspettare: in effetti, quasi
dieci anni fa, questo stesso quotidiano mi chiedeva di pubblicare
un’altra replica a un altro intervento di Kueng, dove questi si
augurava (naturalmente, per il bene della Chiesa...) una pronta
scomparsa del papa. E non nel senso di dimissioni, ma proprio nel senso
di morte, perchè altrimenti, pur dal luogo del suo ritiro, avrebbe
potuto influire sul Conclave e determinare l’elezione di un
cardinale nella sua stessa linea. Cosa che, per questo nostro teologo,
sarebbe il massimo delle sventure.
Poiché, dunque, da un decennio attendeva invano, alla fine Kueng ha
deciso di anticipare i tempi e di autorizzare l’agenzia che cura i
suoi scritti alla pubblicazione del “coccodrillo“ (come,
cinicamente, si dice in gergo) sulla catena consueta di media . In realtà,
l’entusiasmo degli editori sembra sempre minore, visto che si
assottigliano, per ragioni anagrafiche, i lettori di quest’uomo che,
nato nel 1928, è ormai più vicino agli ottanta che ai settanta. Ma sì,
questo che sembrava, tanto tempo fa, il simbolo stesso della “modernità”
ecclesiale, il profeta di una Nuova Chiesa, giunto a 77 anni
sembra interessare ormai quasi soltanto ai suoi coetanei, a coloro che
erano giovani quarant’anni fa, alla fine del Concilio. E’
impressionante, in effetti, come continui a riproporre sempre lo stesso
articolo, tanto che il necrologio del papa da lui preparato già al
principio dei Novanta è quello pubblicato adesso, praticamente
senza variazioni rispetto ad allora. Impressionante, soprattutto, la
totale impermeabilità di questo professore ai fatti, la preminenza
assoluta dello schema ideologico previo: è lui stesso a ricordare, qui,
che il suo giudizio sul papato wojtyliano era già definitivo dopo un
anno, nel 1979, e non è mutato di una virgola .
Impressionante, davvero, e anche un po’ inquietante: in un quarto di
secolo la storia ha accelerato, imperi che sembravano di roccia e marmo
sono caduti in polvere, la cultura stessa ha cambiato prospettive. Ma
Hans Kueng, ormai docente in pensione, da molto tempo privato del titolo
di “teologo cattolico“, continua a ripetere, come venticinque anni
fa: "Giovanni Paolo II? Un disastro, un completo disastro che
porterà la Chiesa alla rovina finale!".
Anche per questa fissità un po’ maniacale non avrei replicato, se
avessi potuto scegliere . Che cosa dire, di nuovo, se di nuovo non c’è
nulla nell’interlocutore? Ma, poi, non dimentico quanto di lui
mi disse un prestigioso vescovo, un suo collega di cattedra
teologica: <
>. Come spesso capita, proprio coloro che esigono dagli
altri“ atteggiamento dialogico“ sono coloro che meno lo praticano.
Io stesso, per quanto conta, sono stato sepolto sotto insulti
sanguinosi, sui principali media del mondo, innanzitutto per avere
scritto un libro-colloquio con il cardinal Joseph Razinger: la mia colpa
era quella di averlo lasciato parlare, anzi di avere condiviso molte
delle cose che mi diceva. Il teologo di Tuebingen avrebbe tollerato che
dessi voce al Prefetto dell’ex-Sant’Uffizio soltanto se l’avessi
contraddetto, trascinandolo in un pubblico processo, mettendolo alla
berlina, inveendo contro di lui come un “traditore“. Tale, infatti,
lo considera perchè, negli anni del Vaticano II, il professor
Ratzinger faceva parte del gruppo di enfants terribles, esperti di
fiducia di vescovi tedeschi, olandesi, francesi che crearono Concilium,
la rivista internazionale del dissenso teologico. Un contestatore,
dunque, diventato Grande Inquisitore: il massimo dell’empietà! come
farla passar liscia al povero sottoscritto, suo intervistatore?
Kueng, poi, non mi ha mai perdonato che proprio la sua “Bestia
Nera“, questo papa che, per lui, è “sventuratamente regnante“, mi
abbia chiesto di fargli delle domande che divennero il libro <
>. L’aggettivo “cortigiano“ è il più benevolo che mi abbia
riservato per questo lavoro che, in realtà, non solo non cercai ma di
fronte al quale ebbi qualche reticenza e resistenza, come raccontai
distesamente nell’ampia prefazione.
Perché, dunque, replicare all’ennesimo articolo, se è sempre e solo
lo stesso? e se è manifesta e provata l’impossibilità di cavare
qualche frutto da un dialogo che l’ex-docente da sempre rifiuta,
chiuso nel suo schema? Schema che è poi quello della metà degli
anni Sessanta, quando il professorino, lo si diceva, faceva parte dello
staff di consulenti dei Padri Conciliari del Centro e del Nord Europa
che determinarono l’orientamento del Concilio. Era l’ideologia della
“modernità“, erano gli anni in cui i sociologi scrivevano libri dal
titolo L’eclissi del Sacro nella società industriale (Sabino
Acquaviva) o teologi come Harvey Cox pubblicavano, tra gran clamore,
testi come The Secular City . Giovani clericali rampanti come il
nostro Kueng, chiusi sino ad allora in una cultura da seminario post
-tridentino, scoprivano –abbagliati– sociologia,
politologia, etnologia, psicologia, psicoanalisi e tutti gli “ismi“,
dal femminismo al secolarismo, che allora sembravano trionfare.
Scoprivano la democrazia parlamentare e volevano applicarla –tale e
quale- anche alla Chiesa; scoprivano la sessualità e, se
non se ne andavano, sbattendo la porta (come fece un terzo dei sacerdoti
e delle suore) , pretendevano che fosse praticabile anche nello stato
clericale; scoprivano la laicità e volevano viverla essi stessi,
cominciando col gettare via tonache, sai, clergyman stessi, pur non
rinunciando al confortevole status religioso. Scoprivano anche, con un
ritardo di cinque secoli, la Riforma protestante e se ne invaghivano
come fosse, appunto, nuova, “moderna“.
Molti si sa, scoprirono, con pericolosa eccitazione, anche e soprattutto
il marxismo e cercarono di trasformare il vangelo nel manuale del
perfetto guerrigliero. Non fu il caso di Kueng che, come pubblico di
riferimento, prese la borghesia dell’Europa nordica, secolarizzata,
opulenta, liberal e organizzò il suo lavoro teologico con stile
manageriale, con staff di collaboratori, informatica, agenti letterari.
E’ chiaro che un prete così non poteva avere niente a che fare con un
altro sacerdote, l’arcivescovo di Cracovia, che veniva da una Polonia
dove la fede era cosa eroica, dove la devozione popolare permeava la
vita quotidiana, dove la Madonna era onnipresente, dove il secolarismo e
il laicismo mostravano il loro volto spietato e, invece che attirare,
creavano spavento ed orrore, dove il catechismo era ancora praticato
mentre non si leggevano gli eleganti papers dei teologi delle università
occidentali. Inutile, poi, nasconderlo: il razzismo che ha sempre
serpeggiato nella cultura germanica ha avuto tra i suoi oggetti proprio
la Polonia, considerata una terra di slavi sfaticati e imbroglioni da
cui non poteva venire nulla di buono. Figurarsi, poi, se da lì veniva
un papa: come avrebbe potuto, un orgoglioso professore di Tuebingen,
accettare come capo e maestro uno che giungeva da quelle parti? Già il
disprezzo e il sospetto verso i latini era stato tra gli elementi che
avevano scatenato la riforma protestante. Ma gli slavi, se possibile,
erano ancor peggio. C’è un vecchio, un po’ ignobile detto tedesco
che il “politicamente corretto“ ha cercato di occultare ma che mi è
capitato di sentire ancora sussurrare: quando Dio decise di creare il
mondo, da una parte fece gli uomini; dall’altra i polacchi.
Sta di fatto, comunque, che Giovanni Paolo II fu esecrato subito da
Kueng e da quelli come lui perchè non “moderno“, perchè “figlio
di una Chiesa arcaica“. Su queste accuse, decenni dopo, il nostro
teologo è ancora fermo, ma il mondo è uscito dalla “modernità“
per inoltrarsi in quella terra incognita che, per mancanza di
meglio, chiamiamo della post-modernità. E che non solo non sa che
farsene delle teorie degli anni Sessanta ma che sembra desiderare giusto
il contrario : non profanità ma Sacro , non preti-manager, non
“operatori pastorali“, ma religiosi alla Padre Pio, non razionalismi
ma mistero, non ulteriore rivoluzione ma riscoperta della Tradizione.
Quanto resta del “popolo di Dio “ non va al dibattito degli
accademici di teologia, va in pellegrinaggio a Medjugorje; non mostra
alcuna smania di potere votare per eleggere il suo parroco e il suo
vescovo, né è frustrato perchè le sue figlie non possono entrare in
seminario ma è pronto a ascoltare un prete, possibilmente vestito da
prete, che gli parla di Dio e di Cristo come una volta.
Partecipavo, una volta, alla fastosa conferenza stampa del pool
internazionale dei suoi editori (erano ancora i tempi in cui vendeva
bene) per la presentazione del dell’ennesimo libro dove -con la solita
irruenza e con i consueti insulti virulenti per chi non la
pensasse come lui- chiedeva per la Chiesa cattolica quanto ribadisce ora
di volere da un nuovo papa . E, dunque: preti sposati; donne-sacerdote;
divorziati riaccolti a nuove nozze; omosessuali venerati; contraccezione
libera; aborto accettato; parroci, vescovi, papi stessi
democraticamente; scismatici ed eretici posti a modello; atei,
agnostici, pagani accolti non solo come fratelli in umanità ma come
maestri di vita e pensiero dai quali tutto imparare... Insomma, il
consueto rosario del «teologicamente corretto» anni Sessanta e
Settanta, i comandamenti del benpensante un po’ datato, le «coraggiose
riforme» del conformista occidentale medio. Accanto a me, lo
ascoltava con attenzione un pastore protestante il quale, alla fine,
prese la parola: “Molto bello e edificante, professor Kueng. Ha
ragione, ecco le riforme che anche il cattolicesimo dovrebbe praticare.
Ma, mi dica: come mai noi protestanti tutto ciò che Lei chiede ce
l'abbiamo già, e da molto tempo, eppure i nostri templi sono molto più
vuoti delle vostre chiese?”.
Il professore non rispose a quella domanda, che scendeva dal cielo delle
teorie «pastorali», ottime per i semestri accademici, alla brutale
concretezza dei fatti, questi maleducati che non vogliono mai rientrare
nei nostri schemi. Vedo ora da questa sintesi brutale del
pontificato che imperdonabile peccato di Giovanni Paolo II sarebbe
soprattutto quello di “non avere integrato nella Chiesa cattolica le
richieste della Riforma e della modernità“. Quanto alla “modernità”
è esistita un tempo, quando lui era giovane, e ha fatto posto ad altro,
come si accennava. Per la Riforma, possibile che uno come questo
teologo, che vive tra Svizzera e Germania, che conosce il Nord
dell'Europa, passato (e, spesso, per violenza dei prìncipi) al verbo di
Lutero, di Calvino, di Zwinglio, possibile che non constati quale è lo
stato comatoso, da encefalogramma piatto, di Chiese che pur furono vive?
Possibile che i suoi viaggi per il mondo non gli abbiano mostrato
che il solo protestantesimo che sembra oggi avere un futuro è quello «impazzito»,
aggressivo, insofferente di ecumenismi, rappresentato dalla
miriade di sètte e di chiesuole? Si può, oggi, proporre per la Chiesa
romana -quasi fossero novità taumaturgiche– provvedimenti che quella
che chiama se stessa «Riforma» per antonomasia ha adottato quasi
cinque secoli fa e i cui risultati stanno sotto gli occhi di chi sappia
vedere senza gli occhiali dell'astrattezza? Per fare un solo esempio: in
media, ogni anno, 10.000 anglicani chiedono di entrare nella Chiesa
cattolica. Non molto tempo fa, l'arcivescovo di Londra ha ordinato preti
cattolici molte decine di pastori anglicani. Sono fratelli (e sorelle)
il cui passaggio a Roma è stato provocato dalla decisione della
gerarchia anglicana di ordinare donne. Una decisione che non ha portato
loro alcun cattolico (e nessuna donna cattolica, si badi !), mentre ha
provocato un esodo importante verso il cattolicesimo.
I fatti, professor Kueng, non provano -almeno qui- il contrario esatto
di quanto affermano le Sue teorie? Che ci dice, per esempio, di
quell'Olanda che prima del Concilio era forse il Paese al mondo con la
più fervida vita cattolica, che subito dopo divenne la speranza e la
mecca del progressismo clericale, che attuò l'attuabile delle riforme
che Lei invoca, coprendo di disprezzo «l'arcaica teologia romana», e
che in breve fu ridotta a un deserto dove le chiese che non cadono in
rovina sono da tempo trasformate in supermarket, in pornoshop, in
hamburgherie? Nessuno Le ha mai rivelato, don Kueng, che, se il più
cattolico dei Continenti, quello latinoamericano, sta passando
rapidamente e in massa a quelle sètte protestanti «impazzite» che
dicevo o torna ai culti afroamericani, è proprio perché cerca lì
quanto non gli dà più certo clero cattolico che (formatosi spesso alla
scuola di quelle Sue facoltà tedesche) dice di «aver scelto i poveri»,
mentre «i poveri» non hanno scelto lui?
Più che difendere questo lungo pontificato dalla gragnuola di accuse,
senza misericordia e senza luce, che gli vengono scagliate contro (come
cattolici, siano fedeli al papa, ma non sempre e non certo passivamente
apologeti di chi, via via, adempie al ministero di Successore di
Pietro), più che difendere, dunque, è ancor più necessario mostrare
come le alternative “alla Kueng“ non siano affatto un rimedio
adeguato ai problemi della Chiesa. Problemi che esistono oggi, come
sempre sono esistiti; ma che, per essere affrontati, esigono ben altro
che le ricette di un “modernismo“ ideologico che la storia ha
superato, mostrandone i limiti e i rischi.
Vittorio Messori
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