Da
ratzinger ai giovani
Quel filo diretto con lassù
Dino Boffo
Gli svolazzi non
gli si addicono. Il cardinale Joseph Ratzinger, da
studioso ma anche da prefetto per la dottrina
della fede, è personaggio che pondera bene di
solito le parole, e non si concede deroghe.
Figurarsi se eccede quando, anziché affidarsi
alla memoria, decide di leggere. Ecco perché
colpisce l'immagine con cui ieri ha scelto di
concludere l'omelia per le solenni esequie del
Papa defunto che gli era toccata quale decano del
sacro collegio. Movendo - una delle poche volte -
il braccio e alzandolo in direzione del
sovrastante appartamento papale, ha soggiunto: «Possiamo
essere sicuri che il nostro Papa sta adesso alla
finestra della casa del Padre, ci vede e ci
benedice». E dopo l'applauso, ha ripetuto i due
verbi: «Ci vede e ci benedice».
Parole solo di affetto? Escamotage retorico per
sigillare con un'immagine la sua (bellissima)
omelia? Non credo. Ci capita di pensare piuttosto
che anche lui - certo per quel che vale la sua
percezione - anche lui però pensi che Karol
Wojtyla, da lassù, dove ora è, sia in grado di
benedire e raccomandare noi a Dio. Un'idea che
coincide esattamente con quello che, a più
ondate, chiedevano - chi non li ha sentiti? - i
giovani della folla presente. «Santo, subito
santo». Un'arditezza, di quelle che la sana,
prudente pedagogia ecclesiale sconsiglierebbe.
Eppure viene spontanea: non a uno solo, ma a
molti.
Torna alla mente quel che ci fu raccontato un
giorno, di prima mano. Accennando in un
ragionamento a Madre Teresa che allora era in
vita, Giovanni Paolo II annotò tra la celia e la
provocazione che si sarebbe potuto anche
canonizzarla da viva, tanto era evidente e
concreta la sua santità. Che è puntualmente
quello che noi già prima di sabato ci trovavamo a
pensare di lui. Di Giovanni Paolo. Immaginarsi,
oggi. Dopo la malattia, l'agonia e morte che abbia
mo visto. Dopo quell'accorrere di gente, da tutto
il mondo, che ci ha spiazzato. Perché tante
persone di ogni età sono corse da lui? Che cosa
alla fine, liberando lo sguardo da qualsiasi
orpello o sovrastruttura, che cosa attirava in
quest'uomo, se non la sensazione del suo essere a
contatto con Dio? Se non la capacità di evocare
l'assoluto, di cui c'è evidentemente nostalgia?
Non si cercava semplicemente la persona buona e
giusta, ma colui che per risultare tanto buono e
giusto doveva per forza attingere forza in Dio.
Che doveva avere il filo diretto con Sopra. Si
voleva in qualche modo lambire chi si era lasciato
toccare dall'Alto. Ecco da dove prorompe ora
quella parola, che noi qui scriviamo a fatica,
tanto è il pudore che ci suscita, ma che pur va
pronunciata se non altro per esigenze di cronaca:
santo.
La Chiesa evidentemente vedrà, e saprà cosa
fare. Noi intanto registriamo le tracce di un
fascino incredibile, inaudito. E annotiamo che
solo mettendo in campo questa chiave di lettura,
questa misura alta se non addirittura sublime,
solo allora tutti i vari tasselli che hanno
concorso a formare la magnifica avventura storica
di Giovanni Paolo II si illuminano della loro
luce. E si spiegano reciprocamente. Il Pontefice
che ha fatto di sé un papa itinerante, che fino
alla fine ha continuato come i primi anni ad
andare dove altri non avrebbero voluto che
andasse. E non c'era solo un andare fisico. C'era
un percorrere strade spirituali, un intreccio
d'incontri in ogni direzione. Vangelo vissuto
stavolta non ai margini ma al vertice della
Chiesa. Noi abbiamo visto il santo di Dio. Nel
tempo della morte dell'uomo, ipotizzata a partire
dalla morte di Dio, noi l'abbiamo visto, passo
dopo passo, proteso a rendere evidente la verità
sulla risurrezione del Crocifisso. E dei
crocifissi della terra. Era il 13 aprile 1980, e
parlando a Torino aggiunse che i n ostri tempi
pretendono proprio questa testimonianza di
risurrezione «come mai prima».
Lui c'è riuscito. Ora aiuterà noi. "Ci vede
e ci benedice".
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